Massimiliano De Cinque, alias DigitalSherpa, da oltre 20 anni intercetta e riutilizza device tecnologici. L’ottica in cui si muove è quella di una economia circolare che includa nel concept del prodotto anche la gestione del suo fine vita in chiave di materiali utilizzati.
Le nostre case sono una sorta di miniera di materie prime. Basti pensare ai cosiddetti RAEE, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, che contengono innumerevoli minerali rari. L’alta tecnologia e molti prodotti di largo consumo richiedono questi metalli, che sono essenziali per realizzare prodotti sempre più performanti. Difficile ormai pensare alla nostra vita senza elettrodomestici, smartphone o personal computer. Persino le cosiddette tecnologie verdi, come i pannelli fotovoltaici o le auto elettriche, ne richiedono grande quantità. Se questi materiali hanno delle proprietà straordinarie dal punto di vista magnetico o conduttivo consentendoci di avere prodotti dalle dimensioni sempre più piccole ma con eccellenti prestazioni, d’altro lato le esternalità negative sono tante. Le terre rare sono costose, complesse da individuare, le fasi di estrazione e lavorazione sono molto invasive in termini ambientali e persino sociali se pensiamo alle condizioni di lavoro in alcuni Paesi, e appunto i giacimenti sono concentrati in poche aree del mondo specialmente in Cina, Russia e Brasile. Per questo motivo non ha davvero senso buttare via in modo indiscriminato i prodotti che le contengono, nel consumo domestico così come in quello industriale.
I dati dell’Europarlamento ci dicono che quelli elettronici sono una delle categorie di rifiuti in più rapida crescita nell’UE, e meno del 40% di essi viene riciclato. La media italiana è ancora più bassa, anche se in questi ultimi anni si è registrato un incremento delle imprese specializzate in questo tipo di recupero. Quello che ancora non funziona bene ed è a macchia di leopardo nei nostri comuni, è il conferimento. Nel 2020 sono stati raccolti 10,3 kg di rifiuti elettrici ed elettronici per abitante nell’UE. La metà sono i grandi elettrodomestici come le lavatrici, seguono le apparecchiature informatiche e di consumo. Se il riciclo è una buona strategia, lo sono anche il riuso, la riparazione, e in generale una nuova cultura del progettare in una ottica di economia circolare includendo nel concept del prodotto anche la gestione del suo fine vita in chiave di materiali utilizzati, semplicità e convenienza della riparazione e intercambiabilità dei componenti.
Ma questo “diritto alla riparazione”, inserito esplicitamente nel piano d’azione per l’economia circolare della UE, a che punto sta? Diciamo che la strada è ancora lunga, e non a caso nel 2023 la Commissione Europea ha presentato una nuova proposta che suggerisce agli stati membri incentivi per stimolare riciclo e riutilizzo dell’elettronica, e ad esempio entro il 2024 l’USB di tipo C dovrebbe diventare il caricatore standard in UE per la maggior parte dei dispositivi elettronici, e i laptop entro il 2026 dovranno essere dotati di una porta USB Type-C. Le famose 4 R – riduci, riusa, ripara, ricicla – aprono a nuove prospettive in termini occupazionali, ma non possiamo dormire sugli allori perché il nostro Paese soffre ancora di un enorme gap formativo nelle competenze tecniche e dobbiamo evitare che molti lavori artigiani vadano perduti.
La tecnologia e l’informatica hanno cambiato le nostre abitudini personali e lavorative. La telemedicina, fare ricerche per la tesi di laurea, effettuare pagamenti e acquisti online, richiedere il passaporto, leggere il giornale o un libro, fare riunioni con colleghi da ogni parte del globo in tempo reale. Sono tutte attività che ci hanno semplificato la vita, e che ci legano indissolubilmente a questi dispositivi che vanno comunque gestiti con buonsenso. Siamo così sicuri però che tutto questo sia accessibile per tutti? Durante la pandemia abbiamo avuto uno spaccato di quanto ancora sia ampio il divario culturale di ampie fasce della popolazione che non sanno utilizzare bene questi strumenti, ma anche l’accesso di per sé a dispositivi costosi. Per tante famiglie fare lavoro e didattica a distanza sono stati una impresa. digitalsherpa ha aiutanto in questo.
In questa ottica trovo molto bella la storia di Massimiliano De Cinque, alias Digital Sherpa, impiegato ed insegnante abruzzese trasferitosi a Olgiate Olona in provincia di Varese, che da oltre vent’anni si occupa di intercettare e riutilizzare pc cellulari e apparecchiature informatiche dismesse da privati e aziende. Insieme ad un gruppetto di appassionati, tra cui un dodicenne, presta assistenza pro bono e annualmente offre gratuitamente circa 300 dispositivi riparati a famiglie in difficoltà e associazioni. Tante volte sono proprio le mamme a rivolgersi a lui attraverso la sua pagina Facebook, preoccupate di fornire ai loro figli i dispositivi per la scuola. Gli sherpa accompagnano gli scalatori nel raggiungimento delle vette più alte del mondo, e nella quotidianità è quello che fa Massimiliano con i ragazzi, gli anziani, le persone con disabilità, avvicinandoli alle opportunità dell’informatica. Se Giorgio – ottantatreenne di Argelato – ha potuto provare l’ebbrezza di digitare su una tastiera, o se Ahmed che aveva perso il lavoro ha potuto fare un corso di informatica con questi pc che probabilmente avrebbero fatto una brutta fine, è merito di iniziative come questa. Una piccola storia certo, di buon cuore e di buon senso. Ma molto coerente con il dibattito pubblico e legislativo che c’è nel mondo attorno a materie prime, sostenibilità e competenze digitali. Non a caso anche la legge 166 del 2016 cosiddetta “antispreco” – che ho scritto con lo scopo di favorire le donazioni aziendali di alimenti e farmaci per solidarietà sociale – è stata estesa durante la pandemia anche a questi beni che patiscono gli effetti di moda e obsolescenza, ma che rispondono ai bisogni di cittadini e comunità locali. Insomma, tante gocce diverse da incentivare, che aprono ad un mare di opportunità.